IL PEDAGOGISTA GIURIDICO: QUADRO EPISTEMOLOGICO E PROFESSIONALE
Ambiti di intervento e ruoli operativi tra educazione e diritto
Di Tiziana Carradore- Pedagogista giuridico- Milano
“La Repubblica italiana protegge l’infanzia e la gioventù,
favorendo gli istituti necessari a tale scopo”
Il pedagogista è in primis: osservatore, promotore, esecutore e autore di strategie educative.
Egli è in possesso di una Laurea in Pedagogia (o equipollente) e può aver integrato tale formazione attraverso l’acquisizione di un master specifico. Egli può avvalersi dell’iscrizione ad albi professionali, ha maturato pregresse esperienze lavorative e significative, può aver prodotto e pubblicato articoli, libri, relazioni, ecc.
Ha una predisposizione naturale ed un interesse in ambito pedagogico, possiede le competenze richieste, è credibile, affidabile ed è in costante formazione: sempre alla ricerca della pratica pedagogica rivalutativa più congeniale al soggetto richiede un compenso per la propria opera prestazionale. Si parla di pratica rivalutativa in quanto la formazione non è mai esaustiva e occorre che il pedagogista sappia intrecciare i rapporti tra teorie plurali e pratica e sappia rielaborare i propri approcci per adeguarli, di volta in volta, al nuovo soggetto senza “estraniarsi dal presente e dal reale” . Il pedagogista è, infatti, un esperto che riassume in sé le principali teorie multidisciplinari (pedagogia, psicologia, sociologia, antropologia, …), le combina insieme e realizza degli intenzionali e programmati interventi educativi e di sostegno nei confronti dei soggetti bisognosi.
Egli è competente sia per quanto attiene la valutazione pedagogica del soggetto e la progettazione di interventi mirati che vanno dalla relazione d'aiuto, al counselling e alla mediazione educativa, utilizzando tecniche e metodologie atte a restringere e indirizzare il campo della conoscenza del soggetto.
Gli interventi pedagogici si rivolgono allo sviluppo umano e all’educazione secondo una relazione d’aiuto. Le azioni dirette (ascolto, mediazione, colloquio, osservazione, …) e indirette (parent training, mediazione scolastica, famiglie affidatarie/adottive, consulenza negli istituti penitenziari, …) s’intrecciano tra loro all’interno dell’ambito civile e penale.
Opera nell'ambito della promozione, della prevenzione e della riabilitazione.
Promozione di azioni educative pensate e finalizzate a divenire atti relazionali e affettivi.
Prevenzione intesa come intervento finalizzato a ridurre i pensieri “sbagliati” in azioni altrettanto “sbagliate” e controproducenti.
Riabilitazione intesa come l’offerta di proposte finalizzate al riappropriarsi delle proprie potenzialità e al tradursi in atti.
Attraverso il pensiero metacognitivo, il pedagogista opera un pensiero critico-riflessivo infinito e circolare sul proprio agire, di volta in volta adattato, rimodificato e passibile di fallimento in quanto è legato alla specificità del soggetto, al contesto, al momento.
Il pedagogista opera all’interno di contesti socioeducativi e assistenziali si occupa di processivi educativi e formativi rivolti a individui di tutte le età (minori, adolescenti, adulti, terza età) in ambito scolastico, educativo, culturale, sportivo, dell’inclusione sociale, …. giuridico.
Il pedagogista giuridico è colui che opera in ambito giuridico.
Assume rilevanza giuridica nella situazione di aiuto al minore in relazione al disagio (plagio, mobbing, persecuzione, …); nella condizione di criticità esistenziale e famigliare (abbandono, abuso, marginalità, devianza, …); allo sfruttamento lavorativo e nella giustizia minorile.
Esercita le funzioni pedagogiche all’interno del contesto giuridico.
Oggi, sempre più sono i pedagogisti iscritti presso gli elenchi del Tribunale Ordinario in qualità di Consulenti Tecnici d’ufficio (C.T.U.) o Consulenti Tecnici di Parte (C.T.P.), oppure lavorano presso il Tribunale dei Minori in qualità di Giudice Onorario (G.O.) o ancora lavorano in comunità (residenziali, terapeutiche, …) o presso i servizi penitenziari e giudiziari.
Il Consulente Tecnico d’Ufficio collabora in stretta sinergia e fiducia con il Giudice e presta la propria competenza e professionalità. Egli è un ausiliario, non necessariamente iscritto all’albo dei Tribunali e “la sua attività non costituisce una prova in sé ma un mezzo di controllo della prova e di valutazione dei fatti già provati in giudizio” . Se nominato è obbligato a prestare la propria opera sotto giuramento e gli è richiesto precisione, sintesi e chiarezza nelle risposte formulate dal Giudice, dare una valutazione tecnica ed evidenziare i fatti rilevanti.
Ove ricorrano le condizioni previste dalla legge il C.T.U. può astenersi dalla consulenza dando preavviso motivato al Giudice almeno tre giorni prima dell’udienza di comparizione.
Il Consulente tecnico di Parte invece è un professionista che viene nominato dalle parti in causa, qualora lo ritengano necessario e generalmente opera in ambito tecnico/scientifico.
Il Giudice Onorario è invece un esperto in ambito scientifico (psicologo, biologo, antropologo criminale, …) che collabora con il Giudice Togato. L’affiancamento del Giudice Onorario al Giudice Togato nasce dall’esigenza di avere un esperto in grado di chiarire i dubbi di quest’ultimo in merito alle problematiche minorili e che indirizza il giudice togato verso la sentenza finale. Egli si è distinto in quanto cittadino benemerito ed ha dimostrato di aver a cuore le problematiche sociali dei minori. L’opera del Giudice Onorario è prevista in ambito civile, penale e amministrativo a differenza del Tribunale Ordinario dove le competenze sono ben distinte.
In Comunità, sebbene non sia ancora stata abilitata istituzionalmente tale figura professionale, nella pratica, gli operatori (educatori, coordinatori, …) devono tenere in considerazione gli aspetti giuridici e l’iter processuale per poter affrontare situazioni di disagio con metodo e lungimiranza.
Così facendo, “… progettazione pedagogica e normativa giuridica entrerebbero in una relazione di reciproco scambio, …” . “L’obiettivo di acquisire questa competenza in ambito giurisprudenziale è quello “… di snellire le procedure, … andare dritti al problema e, di conseguenza, alla sua possibile soluzione” .
Nei servizi penitenziari minorili, il pedagogista giuridico si preoccupa di conciliare l’aspetto giudiziario con l’aspetto umano e di proporre interventi che tutelino il minore e che siano mirati alla “… prevenzione, recupero e rilancio educativo dello stesso.” .
La prevenzione, individuale e collettiva, si classifica su tre livelli :
a) primaria: cerca di impedirne l’insorgere;
b) secondaria: sono stati individuati dei comportamenti a rischio e ci si attiva tempestivamente con degli interventi mirati
c) terziaria: si ricerca la stabilizzazione e l’aggravamento.
A seconda del modello teorico di riferimento adottato (clinico, dell’apprendimento sociale o psicodinamico) e che interpreta il medesimo disagio (es: tossicodipendenza) si attivano proposte preventive differenti e/o opposte che hanno a che fare con il nesso di casualità diretta o multifattoriale. In quest’ultimo caso, per esempio, gli interventi saranno mirati alla territorialità e non al singolo individuo.
Tutti (giovani, genitori, insegnanti, educatori, …) sono coinvolti nel processo di prevenzione delle condotte devianti e devono essere in grado di osservare e individuare precocemente i comportamenti a rischio.
Il recupero può avvenire sia all’interno della struttura penitenziaria che ai domiciliari e prevede un progetto di formazione e/o integrazione sociale (es.: l’acquisizione di un diploma o una forma lavorativa).
Il rilancio educativo presuppone, dopo il periodo di detenzione, della ricerca e del mantenimento di un’occupazione lavorativa e la capacità di un’autonoma gestione economica.
L’art. 27 della Costituzione italiana recita: “… Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato” pertanto, la pedagogia giuridica invoca il principio di educazione e rieducazione e rappresenta un ramo epistemologico e transdisciplinare dell’odierna pedagogia. Egli s’interessa ai fenomeni di rilevanza giuridica secondo approcci individuali, empirici ed ecologici (ovvero all’interno di un ecosistema di cui l’individuo è parte integrante) con particolare attenzione alla singolarità dei casi, dei soggetti coinvolti e delle situazioni tenendo conto della prospettiva sincronica e diacronica.
Qualsiasi comportamento posto in essere da un soggetto oltre ad avere un’importanza individuale per chi lo compie si ripercuote sia in ambito sociale (secondo una scala di valori fondata sulla cultura di appartenenza e da questa influenzata) sia in ambito giuridico toccando aspetti rilevanti quali la responsabilità, i diritti e doveri, la tutela, ….
Il modello di diritto italiano difende e favorisce la libertà personale nel rispetto dell’osservanza degli obblighi legislativi.
In passato, si leggeva: “Nella Costituzione il minore è descritto come soggetto passivo che, non essendo titolare di diritti, subisce le conseguenze derivanti da responsabilità di altri” … “L’enfasi, dunque, è posta sul binomio tutela-protezione, non sul concetto di titolarità dei diritti” .
È stato necessario attendere la “Convenzione dei diritti del fanciullo di New York del 1989 per veder riconosciuto il minore come titolare di diritti.
È grazie a tale Convenzione che, oggi, la tutela giuridica è garanzia di riconoscimento di tali diritti e s’impegna nell’attivare una serie di interventi atti a garantire protezione e sicurezza alle fasce deboli e scarsamente protette che sia minori e/o adulti.
Nel nostro ordinamento Costituzionale non esistono norme che fanno riferimento al sistema giudiziario minorile pertanto se il minore si trova nella condizione di aver violato la legge, si presume che esso sia stato a sua volta vittima di reati e la giurisprudenza italiana deve tener conto nell’applicazione della pena sia dell’inviolabilità della libertà personale che della protezione del minore.
A questo scopo, la legislazione italiana consente l’adozione d’interventi che prevedano la centralità e l’attivazione consapevole e responsabile del minore nel porre rimedio ai propri errori al fine di riconoscergli e garantirgli bisogni di crescita personale e relazionale.
Nel nostro ordinamento il minore non è imputabile di reato se lo ha compiuto quando aveva meno di quattordici anni ma lo è se il minore è tra i quattordici e i diciott’anni e vi è l’accertamento di colpevolezza perché in caso contrario, il dubbio viene risolto a favore dell’imputato.
La valutazione giudiziale tiene conto dell’unicità del soggetto e della sua storia, ovvero dell’ambiente di provenienza, della personalità, delle circostanze.
Per evitare la condanna, la giurisdizione italiana prevede delle procedure parallele ed alternative alla carcerazione che vanno dall’”irrilevanza del fatto” con conseguente perdono del Giudice, alla “messa alla prova” della durata di tre anni in carico ai servizi amministrativi della giustizia e che prevedono solitamente l’assolvimento dell’obbligo scolastico o il volontariato. Altra opportunità prevista per il minore ma, di fatto, meno utilizzata la “mediazione penale” volta ad accertare l’assunzione di responsabilità e il pentimento del minore autore di reato. All’interno di un setting appositamente allestito e neutrale, il pedagogista giuridico organizzerà degli incontri che lo vedranno coinvolto insieme alla sua famiglia e talvolta anche alla vittima.
Una relazione conclusiva positiva alla mediazione potrebbe condurre al perdono giudiziale.
Esistono poi degli strumenti atti a ridurre temporalmente la pena inflitta grazie ad una “circostanza attenuante” o la “condizionale” che anticipa la cessazione della pena detentiva o ancora, l’”affidamento in prova ai servizi sociali” per evitare il carcere e infine, “la detenzione domiciliare” concessa come alternativa ai ragazzi di età inferiore ai ventun anni e che la richiedono per motivi di salute, studio, lavoro e famiglia.
Il pedagogista giuridico nell’ambito scolastico in caso di genitorialità adottiva
L’educazione è in primis un diritto inalienabile oltre che una necessità individuale e sociale; appartiene a ogni cultura ma la sua trasmissione non è così scontata e necessita di una previdente formazione in costanza di aggiornamento.
In passato l’industrializzazione ha facilitato i processi migratori che da sempre hanno interessato e motivato l’uomo alla scoperta di nuove terre, di migliori condizioni di vita e alla conquista.
La globalizzazione ha consentito un’intensificazione degli investimenti e degli scambi commerciali grazie ad una maggiore interdipendenza tra gli Stati resa possibile anche da una velocità nello scambio e nella circolarità delle comunicazioni ed informazioni dovuti ad un rapido progresso tecnologico. Se, da un lato ha consentito una maggiore crescita economica degli Stati, una riduzione dei costi grazie ad una libera concorrenza dall’altro ha favorito l’aumento delle disparità sociali e il rischio di una perdita identitaria locale.
A questo scopo “l’educazione familiare e comunitaria, non è più ritenuta sufficientemente adeguata (e, per molti aspetti opportuna) ai nuovi rapporti economici e sociali che si affermano con la modernità e che hanno imposto la necessità di fornire una quantità minima sufficiente di saperi e competenze a tutta la popolazione” .
È assolutamente positivo il fatto che l’educatore, oggi, gode di un riconoscimento e di una formazione universitaria (e non solo) al pari dello psicologo, dell’insegnante, …tanto più che il pedagogista trascorre un tempo maggiore in compagnia dell’educato.
Occorre precisare che ad una educazione alla scuola vi è anche un’educazione della scuola intesa come costante formazione teorica e metodologica, inserita nel contesto reale e attuale che si riflette tanto nel contesto sociale quanto in quello individuale e di vita.
Allo stesso modo, il dinamismo della società contemporanea offre l’opportunità e la necessità di ripensare a pratiche educative che modificano l’inquadramento statico e univoco del fare scuola.
“Occorre riflettere su come migliorare i processi d’integrazione.” In quanto, i dati di realtà ci rimandano ad una società multietnica, in continuo divenire. Alla pregressa paura del nemico esterno si somma la paura del nemico interno e vicino a noi. Nella nostra contemporaneità il replicare di episodi terroristici improvvisi e perpetuatesi in ogni dove, in un disordine d’informazioni, crea la paura del diverso che, sommata all’ignoranza e alla mancata volontà di conoscenza, ostacola il processo di accettazione, vicinanza ed integrazione del diverso. Ciò rende possibile una visione del mondo semplicistica divisa in buoni/cattivi, noi/loro.
La pedagogia interculturale è fondamentale affiché “autoctoni e alloctoni possano imparare a ri-conoscersi come persone e, … possano dialogare e comprendersi” e “l’approccio autobiografico è importate” inoltre, “La conoscenza, la frequentazione, il rispetto, l’affetto per un territorio sono tutte competenze cognitive ed emozionali che si possono insegnare e imparare e che possono e devono favorire e facilitare l’integrazione.”. Ma, in un mondo sempre più globalizzato è importante comunque mantenere il proprio riferimento culturale. Il problema è cercare di intrecciare due mondi culturali in un’unica identità personale e nel rispetto del territorio occupato.
La scuola riassume in sé sia l’educazione formale (professionalizzante, intenzionale diretta dalle generazioni passate verso quelle successive) che l’educazione informale (tra pari). Quest’ultima rispecchia contraddizioni, usi, costumi, valori (culturali e religiosi) diversi e talvolta contrapposti del territorio in cui si vive.
E’ qui che s’insinua e acquisisce sempre maggior importanza il tema dell’inserimento del bambino nel contesto scolastico e il passaggio da un’ambiente famigliare e protetto ad un ambiente extra-famigliare e vulnerabile, specchio della società attuale in cui è immerso il minore.
Il pedagogista giuridico assume rilevanza in quanto media tra la scuola e la famiglia al fine di garantire un’inclusione positiva e nel mantenimento di un sufficiente benessere scolastico sia per il minore che per la famiglia stessa.
Egli è in grado di promuovere lo sviluppo del bambino e della sua famiglia con una giusta distanza e direzione.
Divenire genitori dev'essere una scelta consapevole ma in caso di genitorialità adottiva si avverte l'esigenza di una maggiore preparazione e formazione sia da parte della coppia adottiva-genitoriale che delle operatrici scolastiche per poter essere preparati all’ accoglienza, inclusione e gestione del bambino.
Prima di avviare qualsiasi intervento educativo è fondamentale la conoscenza del singolo minore e della sua famiglia.
“Il sapere e la prassi educativa della famiglia non possono essere considerati pedagogicamente impostati” infatti, all’interno del contesto informale e famigliare vengono spesso tramandati codici di comportamento e valori intrinsechi al nucleo stesso; nelle relazioni tra pari, invece, l’apprendimento è informale e i soggetti coinvolti si scontrano e confrontano con una realtà più vicina alla propria età anagrafica e ai propri interessi e scostante rispetto al passato ed alle generazioni precedenti.
La scuola rappresenta il primo luogo sociale di un’esperienza extra famigliare che è legislativamente obbligatoria ma che non dev’essere impreparata e improvvisa e l’inserimento del minore nel contesto scolastico è influenzato da variabili che rendono irripetibile l’esperienza e la modalità di relazione e di trattamento.
Quando un individuo s’inserisce in un nuovo contesto sono in gioco vissuti profondi, aspettative e resistenze che si sommano all’età, al carattere, al temperamento, ai suoi bisogni attuali e alla sua capacità di resilienza.
L’entrata nell’universo scolastico assume un carattere più profondo d’investimento emotivo-affettivo, di ambientamento, esplorazione e di vissuto relazionale .
Occorre prestare attenzione alle dinamiche instauratesi tra genitori e figlio, a risorse, paure e strategie adottate e/o adottabili.
Ai fini di un buon inserimento nel contesto scolastico la differenza qualitativa tra un contesto scolastico e l’altro è determinata dall’insieme delle pratiche svolte tra famiglia e contesto educativo che vanno ben oltre l’insieme dei atti burocratici, dei procedimenti (visite) e dei prefissati metodi d’indagine conoscitiva, quali i colloqui o la compilazione di questionari unidirezionali (scuola →famiglia) che, sebbene fondamentali e necessari alla costruzione di un’indagine storica e di ordinaria consultazione aiutano ma non si sostituiscono, nella prassi, ad una buona, efficace e produttiva relazione tra contesto scolastico e famiglia.
Nel processo naturale e congeniale di separazione del figlio dall’ambiente fusionale e famigliare per essere inserito nel contesto scolastico, il genitore si ritrova a vivere un’ansia che benché legittimata dalla necessità, per il minore, di apprendere e socializzare tra pari ha delle ripercussioni sui tutti i soggetti coinvolti. La madre spesso si divide tra lavoro e famiglia. Nel caso di un figlio adottivo, pur mantenendo il proprio lavoro, essa si concentra sulla maternità, relegando i propri interessi ad un piano inferiore. Secondo Bolwby è sufficiente instaurare una relazione significativa sufficientemente buona perché il bambino cresca e si sviluppi in modo adeguato sul piano relazionale e cognitivo e impari a stabilire altre relazioni positive. Qualora questo non sia avvenuto con il caregiver (spesso identificato con la madre biologica), si spera ci saranno altre occasioni affinché il bambino possa stabilire legami di attaccamento sicuro. La “sintonizzazione affettiva” di cui Stern parlava non riguarda tanto il gesto quanto lo stato d’animo dei due soggetti coinvolti e tocca le corde dell’empatia e dell’intimità: consente ad ognuno di percepire gli stati mentali dell’altro.
Il pedagogista diventa allora una figura di riferimento importante in quanto è in grado di ascoltare, contenere, sostenere e modulare l’ansia materna. Allo stesso modo è possibile che la madre avverta il senso di colpa per il rientro lavorativo e interpreti questa necessità individuale ed economica come una sorta di abbandono verso il figlio e che subentri la preoccupazione per un rapporto privilegiato tra il figlio e la figura di riferimento.
Nel tempo, all’interno del contesto scolastico, infatti, assume sempre maggior rilevanza il sottosistema triangolare madre-bambino-pedagogista/insegnante.
La figura paterna attualmente è stata rivalutata e gli è stato finalmente riconosciuto un ruolo importante perché bilancia il rapporto madre-figlio ed è di supporto alla coppia madre-bambino.
Al pedagogista è richiesto di osservare la relazione madre-bambino evitando di suscitare gelosie e/o resistenze da parte dei genitori. L’intervento educativo è di mediazione e deve veicolare alla sicurezza, alla certezza di essere compresi seppur considerando disagi e difficoltà attraverso un ascolto attivo, sensibile e disponibile. La capacità osservativa del pedagogista non è separabile dalla competenza comunicativa e relazionale. Egli dev’essere in grado di percepire ed interpretare i messaggi ricevuti e rispondervi con congruenza. Fondamentali sono: l’imprevedibilità e la rapidità decisionale, l’espressività, l’intenzionalità, la capacità organizzativa e la capacità di superare la propria visione del mondo.
A tal fine sarebbe auspicabile, qualora la legge riconosca le fondatezze del pedagogista all’interno del contesto scolastico, la possibilità di creare dei momenti tra genitori naturali e adottivi in cui è possibile condividere ansie, riflessioni individuali e strategie da condividerle liberamente con il gruppo di genitori.
La genitorialità apre uno sguardo sul futuro e consente al tempo stesso una rilettura sul proprio passato di figli. L’esperienza nell’essere stato figlio influisce sul proprio agire di genitori. L’entrata di un figlio nella vita di coppia modifica la vita e l’organizzazione famigliare.
L’essere genitori adottivi comporta il dover affrontare la ferita dell’abbandono e farci i conti quotidianamente ma, esistono paure che sono tipiche di ciascun genitore a prescindere dalla modalità in cui si è diventati genitori. Sapere che dubbi e insicurezze appartengono tanto ai genitori biologici quanto ai genitori adottivi aiuterebbe quest’ultimi a sciogliere dei nodi e a sentirsi pariteticamente adeguati/inadeguati a seconda delle circostanze. Le madri adottive inseguono il loro bisogno di essere riconosciute nel loro ruolo genitoriale, vogliono far comprendere alle madri biologiche la doppia fatica dell’essere madre e la soddisfazione materna è una variabile dipendente dal tempo e dalla qualità della relazione che non è naturale ma che si costruisce successivamente.
Ecco allora che il pedagogista entra in gioco come presenza competente, rassicurante e di sostegno. Il tema dell’inserimento è fondamentale tanto per il figlio adottivo nel contesto scolastico quanto per il pedagogista nel contesto famigliare. Egli deve porsi in equilibrio tra conoscere e farsi conoscere, tra sapere e saper fare, tra ansia e spinta a mettersi in gioco (con il rischio di sentirsi messo in discussione e di fare errori). Formazione ed esperienza sono i due aspetti complementari del ruolo professionale che ricopre.
All’ esterno della scuola egli s’interfaccia con i Servizi Sociali, sanitari, gli educatori, ….
All’interno del contesto scolastico egli si relaziona con diverse figure professionali quali psicologi, Dirigente scolastico e insegnanti che forma, supporta e indirizza verso l’autoconsapevolezza, la responsabilità, la riflessione nonché verso saperi e pratiche mirate a tradursi in una relazione d’aiuto. Qui assume rilevanza il setting appositamente studiato, predisposto e coscientemente strutturato. Egli deve presentarsi il più possibile accogliente, intimo e confortevole riflette l’orientamento teorico del conduttore e dev’essere neutrale ovvero apolitico e privo di simboli religiosi.
Gli strumenti diagnostici di cui si serve per espletare le sue funzioni sono:
– colloquio clinico individuale o di gruppo con la famiglia e il minore o l’insegnante;
– l'indagine della storia famigliare e personale del minore attraverso la compilazione di schede intervista;
– l'osservazione clinica;
Il colloquio clinico (individuale o di gruppo) è determinato da una situazione comunicativa intenzionale, diagnostico-conoscitiva ed educativa ai fini del raggiungimento di un obiettivo. Essa si attua tra il professionista e i soggetti coinvolti attraverso un rapporto asimmetrico ma non privo di autenticità, chiarezza e con uno stile educativo informale ed accogliente volto ad una conoscenza sempre più approfondita e che mira ad un avvicinamento graduale ai “temi caldi” senza però risultare invasivo, critico.
Egli è basato sull’osservazione del comportamento umano e talvolta può essere integrato da strumenti diagnostici quali: questionari, test, diagnosi, …
L’atteggiamento del pedagogista dev’essere assolutamente professionale: il ruolo prevede un ascolto empatico, un’alleanza terapeutica e dev’essere privo di giudizio.
Ascolto empatico: Freud era solito mantenere un’attenzione libera e fluttuante senza mai perdere di vista l’obiettivo e evitando la collusione.
Alleanza terapeutica significa viaggiare sulla stessa lunghezza d’onda al fine di ottenere un risultato. Il pedagogista non possiede risposte preconfezionate ma l’alleanza serve a trovare insieme una soluzione valida sebbene sia l’educato il protagonista della storia e l’autore della soluzione.
Gestire un colloquio non è semplice e il pedagogista deve evitare di incorrere in diverse tipologie di errori quali: pregiudizi/stereotipi, identificazione con il soggetto, collusione o alleanza patologica o incorrere nell’effetto alone (quando il professionista si concentra su un solo aspetto della questione tralasciando tutti gli altri).
L’atteggiamento giudicante collima con il clima accogliente e la possibilità di raggiungere la soluzione: il soggetto deve sentirsi accettato e spetta al terapeuta (o pedagogista) problematizzare il problema.
La distanza tra i soggetti in relazione è indice della relazione stessa: troppo intimi o troppo distanti può significare l’intenzione a interrompere il rapporto.
Anche l’abbigliamento, riveste la sua importanza e dev’essere consono al tipo di intervento e pratica professionale che si sta intraprendendo.
La gestualità, l’orientamento corporeo (frontale, di fianco, a 90°), le vocalizzazioni: il tono, le pause, il silenzio, in una relazione autentica, da entrambe le parti devono rafforzare il verbale. Se sono stridenti occorre tenere in considerazione il non verbale.
È fondamentale però che il pedagogista sia consapevole dei propri limiti e risorse e si conosca a fondo e che sia oggetto-soggetto egli stesso di una costante supervisione, ovvero l’oggetto di osservazione si trasforma in obiettivo dell’intervento.
Il colloquio ha un risvolto educativo in quanto serve a far emergere nel soggetto le potenzialità interiori e sane per poter fronteggiare al meglio e superare la situazione.
Ha inoltre una funzione terapeutica in quanto dev’essere in grado di “rileggere” le circostanze e le emozioni negative alla luce di nuove forme mentis più positive e funzionali perché, i teorici della relazione ritengono che, “ … una volta strutturatasi nell’interazione, tende a riprodursi nel tempo e nello spazio sempre identica a se stessa” .
Attraverso l’esperienza relazionale d’aiuto con il pedagogista, il soggetto cresce e matura e ripercorre gli avvenimenti presenti e passati secondo una nuova chiave di lettura e interpretazione, egli diviene soggetto attivo e quindi si costituisce una relazione condizionata dal terapeuta che supera il concetto di iterazione inteso come costante tra soggetto -identità e ambiente.
Il colloquio clinico non è unico e irrepetibile ma si articola su vari livelli: un colloquio di accoglienza e dei colloqui successivi.
Nel colloquio di accoglienza, gli insegnati si ritrovano a vivere una situazione di disagio e non sono in grado di comprenderne le cause. È fondamentale che il pedagogista ponga delle domande aperte e ricorra a frasi riassuntive e riflessive. Porre delle domande chiuse diviene necessario se il professionista intende restringere le risposte.
Al termine del colloquio è bene che il pedagogista, sulla base dell’osservazione verbale e non verbale, offra degli spunti di riflessione che andranno poi approfonditi nel corso delle sedute successive.
A seguito di quest’incontro il pedagogista elabora delle strategie che andranno di volta in volta verificate, valutate, discusse con il/i soggetto/i in modo da consentire una restituzione sull’andamento del percorso e degli esiti del colloquio.
Sarà poi opportuno che il professionista osservi l’insegnante in classe.
Non appena emergeranno anche minimi risultati, sarà premura del pedagogista rinforzare positivamente l’operato dell’insegnante.
Le schede intervista mirano a raccogliere e riassumere in brevi spazi le informazioni necessarie a comprendere il quadro d’insieme di stampo burocratico e oggettivo. Esse possono essere predisposte in maniera struttura, semi-strutturata o libera.
Nell’ambito del procedimento giuridico per attestare l’idoneità genitoriale le schede intervista risultano molto strutturate, nell’ambito scolastico ai fini dell’iscrizione del minore, le schede intervista risultano molto concise e mirate sui fatti importanti.
L'osservazione clinica serve ad estrapolare ed evidenziare situazioni comportamentali significative del soggetto necessarie alla comprensione globale della sua personalità.
Ci si augura che in un imminente futuro si possa legiferare che, accanto al dirigente scolastico, si possa stabilmente affiancare la figura del pedagogista giuridico. Il dirigente scolastico così impegnato in ambito burocratico e manageriale possa essere sollevato dal gravoso e delicato impegno educativo e formativo e possa avvalersi della collaborazione stabile di un esperto in ambito didattico, relazionale, metodologico che sappia affiancare e guidare insegnanti, famiglie e studenti all’inclusione e al benessere scolastico di tutti i soggetti coinvolti.
“Attualmente in discussione in Parlamento c’è una legge che dovrebbe prevedere il riconoscimento e il valore in ambito scolastico del ruolo e della figura del Pedagogista e dell’Educatore. La proposta di legge è nata perché se ne sente disperatamente l’esigenza: gli studenti, perché possano crescere a scuola con personale veramente preparato, capace di “vedere” il proprio studente da tutti i punti di vista e non solo da quello nozionistico; e la famiglia perché possa scegliere di avere un punto di riferimento sul quale contare nella gestione della relazione e crescita dei propri figli, senza doverli necessariamente medicalizzare e normalizzare a tutti i costi. Ecco, gentile Ministra, questa conoscenza per lo sviluppo dei futuri cittadini è frutto della cultura umanistica (pedagogica, antropologica, sociologica, storica, filosofica, psicologica) del corso di studi in Pedagogia, non certo di quella medica.” |