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L’EDUCAZIONE SPORTIVA IN ADOLESCENZA: IL PEDAGOGISTA SPORTIVO

di Francesca Zannoni – Pedagogista clinico

L'adolescenza è l'età delle trasformazioni.
Si trasforma, primo tra tutti, il proprio corpo che, da contenitore accogliente e rassicurante, diventa instabile e inquieto, racchiudendo in sé spinte centrifughe verso un mondo adulto idealizzato e temuto, e spinte centripete verso la tranquillità conosciuta dell'infanzia.
Ci si trova così in presenza di un corpo da nascondere e da esibire, espressione di emozioni contrastanti, costantemente in bilico tra il desiderio nostalgico del Sé infantile e la curiosità del Sé adulto.
Trasformazioni fisiche, ma anche emotive.
Trasformazioni che si riflettono sul comportamento sociale, sullo sviluppo cognitivo e sulla qualità della vita relazionale.
E' a questo punto che il gruppo dei pari inizia ad assumere un valore preminente e straordinariamente importante, diventando il fulcro attorno al quale coinvogliare interessi, proiezioni e aspettative.
Ragazzi e ragazze, tuttavia, sono avvezzi alla relazione con i coetanei. Ogni fase della loro crescita, infatti, ha sperimentato attivamente la dimensione del gruppo: il gruppo classe, presente già nella primissima infanzia con l'inserimento all'asilo nido, il gruppo ricreativo, il gruppo dell'associazionismo sportivo, il gruppo informale.
Alla dimensione gruppale, quindi, si devono attribuire le molte forme di comportamento imitativo e la tendenza ad assumere atteggiamenti stereotipati o innaturali, agiti con l'obiettivo di ribadirne la propria appartenenza.
L'esperienza clinica con gli adolescenti ha dimostrato che è la dimensione stessa del gruppo che produce quel fenomeno psichico che, in termini psicoanalitici, si potrebbe definire "Ideale dell'Io".
Questo perché l'adolescenza è anche il momento in cui il gioco delle identificazioni si svolge in uno spazio incerto, dove il bisogno di certezze consolidate, derivate in genere dalla dimensione familiare, si fronteggia col bisogno dirompetente si affermazione e separazione promosso e sostenuto dal gruppo.
L'appartenenza regala valori ideali e modelli a cui riferirsi, consente il confronto, garantisce un punto di appoggio su cui basare e da cui orientare identificazioni e proiezioni, permette di contenere l'ansia ed esorcizzare le angosce persecutorie e depressive connesse alla dimensione della crescita.
Il gruppo è in un certo senso una sorta di "atelier della sperimentazione" all'interno del quale, empiricamente, si elaborano nuove teorie etiche, si ricercano nuove verità, e si affermano nuove certezze capaci di creare un raccordo tra l'universo infantile e il mondo adulto.
Questo fa si che gli adolescenti siano portati a confrontarsi tra loro per trovare negli altri parti di sé e scoprire se stessi attraverso il contatto con gli altri.
La comparazione ha quindi un'enorme rilevanza psichica in quanto ribadisce la tendenza individuale ad accettare quegli aspetti individuali che sono condivisi dal gruppo, negando e rimuovendo tutto quello che rischierebbe di produrre una differenziazione troppo marcata.
Da qui la complessità insita nella prassi educativa.
Oggi infatti, anche alla luce delle informazioni laterali che provengono dal mondo dello sport, all'operatore sportivo non si può più chiedere di essere soltanto "allenatore-istruttore" tralasciando tutta la componente educativa e formativa insita nel suo ruolo e nella sua figura.
Spesso infatti, è lui il referente adulto di un gruppo di adolescenti, lui il modello a cui fare riferimento, lui colui al quale affidarsi per modella re se stessi, il proprio corpo e le proprie aspettative per il futuro.
Un intervento centrato unicamente sulla trasmissione-acquisizione di capacità tecniche, orientato all'incremento della competitività e al raggiungimento di un risultato da perseguire con ogni mezzo e a qualunque costo, può colludere con le spinte narcisistiche proprie dell'adolescente, contribuendo alla costruzione di immagini di sé poco realistiche e destinate a sgretolarsi nel confronto diretto con la realtà.
E' questa forma di disorientamento, che racchiude non solo la disillusione verso risultati agonistici non raggiunti, ma che rimanda a forme di negazione depressiva, che occorre prevenire attraverso percorsi mirati di formazione e sensibilizzazione.
Promuovere e assicurare il benessere psicofisico dei giovani non significa individuare obiettivi che agiscano unicamente sulla cura, bensì definire azioni di prevenzione "con la persona".
Occorre quindi fornire informazioni corrette, stimolare percorsi metacognitivi , proporre modelli di riferimento positivi, garantire sempre la possibilità di scelta.
L'istituzione del Pedagogista Sportivo diventa perciò l'occasione per ascoltare le situazioni prima che queste diventino problema, riconoscendo una competenza professionale differente, ma capace di cooperare con il tecnico sportivo per una presa in carico educativa globale dei giovani.
Il Pedagogista Sportivo potrà assumere un ruolo di facilitatore e mediatore tra le società sportive, le famiglie e i ragazzi, tenendo conto che questi ultimi hanno bisogno di essere percepiti dal mondo adulto come soggetti competenti e in grado di raggiungere obiettivi, senza per questo essere destinati ad esaurirsi negli obiettivi medesimi.
Così facendo verrà a prodursi una sorta di cambiamento nella visione si sé e dell'altro, nel proprio senso di appartenenza al gruppo e nella condivisione del progetto.
Infine, l'intervento di ascolto empatico centrato sulla persona a prescindere dal suo grado di competenza, già ampiamente utilizzato, presso altre agenzie educative, per l'orientamento delle spinte motivazionali e il contenimento delle reazioni ansiogene all'ansia da prestazione, potrà avere applicabilità anche in ambito sportivo, con conseguenti cadute positive sia in chiave preventiva e di educazione alla salute, che per quanto concerne una maggior efficacia nel raggiungimento degli obiettivi.

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Specialisti disturbi dell'apprendimento Vimodrone (Mi)

 

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