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Adolescenti immigrati a scuola: il protocollo di accoglienza

di Elena Faccio-Pedagogista

Il fenomeno dell’immigrazione è considerato un elemento costitutivo delle nostre società, nelle quali sono sempre più numerose le persone appartenenti a culture diverse.
L’integrazione piena degli immigrati nella società di accoglienza è un obiettivo fondamentale e, in questo processo, il ruolo della scuola è chiaramente primario.
Secondo la più recente indagine della Commissione Europea, condotta da Eurydice , la maggior parte dei paesi ha introdotto varie misure di sostegno per aiutare gli alunni e le famiglie immigrate; in particolare le misure di sostegno linguistico sono quelle più diffuse.
La scuola è ormai da molti anni coinvolta in queste problematiche.
L’aumento progressivo del numero di alunni stranieri nelle scuole italiane mette in discussione la loro capacità di accoglienza ed integrazione.
La mediazione culturale nella scuola con studenti italiani e stranieri dovrebbe in primo luogo poter provare a comprendere la complessità di cui stiamo parlando:
non esiste un’unica identificazione, né un’unica appartenenza, né un’unica alleanza.
Il giovane straniero impara fin da piccolo a sentirsi sospeso tra diversi modelli educativi e costruisce la sua identità nella complessità a cui il mondo lo sottopone. Trasformare questa confusione e questa complessità in una risorsa, significa proporsi come obiettivo quello di costruire delle strategie pedagogiche intenzionate ad accompagnare la persona nella sua crescita identitaria, senza obbligarlo ad aderire ad un solo bagaglio di riferimento.
La pedagogia dovrebbe essere anche la costruzione di nuovi territori culturali, che, se non si vogliono egemonici o violenti, devono riuscire ad essere plurali.
E così la mediazione culturale nelle scuole rivolta alle famiglie consente certamente l’emergere di un coinvolgimento diretto e più partecipativo dei genitori alle iniziative delle insegnanti. Nel momento in cui si fa questo, si condivide implicitamente che la relazione con le famiglie straniere non sia riducibile al solo passaggio delle informazioni, ma che sia allo stesso tempo teso alla promozione di un interesse, di una spinta motivazionale, nel seguire la crescita del proprio figlio nella e con la scuola.

Integrare significa accogliere, per questo da alcuni anni si parla della costituzione del cosiddetto “Protocollo di accoglienza” ossia un documento deliberato dal collegio dei docenti che contiene criteri, principi ed indicazioni riguardanti l’iscrizione e l’inserimento degli alunni immigrati tracciando le diverse possibili fasi dall’accoglienza.
Si è arrivati ad uno strumento come questo poiché sono state emanate diverse norme che rappresentano oggi una preziosa risorsa. Ad esse è necessario far riferimento per andare incontro alle necessità degli alunni stranieri e delle loro famiglie, nel contesto delle aspirazioni educative della totalità degli allievi, con l’obiettivo di individuare strategie operative comuni in collaborazione con le diverse istituzioni, associazioni e agenzie educative del territorio.
La tutela del diritto di accesso a scuola del minore straniero trova la sua fonte normativa nella legge sull’immigrazione, n. 40 del 6 marzo 1998 e nel decreto legislativo del 25 luglio 1998 “Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione dello straniero” che riunisce e coordina gli interventi in favore dell’accoglienza e integrazione degli immigrati, ponendo particolare attenzione all’integrazione scolastica. Infine La legge n. 189 del 30 luglio 2002 (cd. Bossi/Fini) ha confermato le procedure di accoglienza degli alunni stranieri a scuola.
Attualmente il quadro normativo, imperniato sull’autonomia accordata alle istituzioni scolastiche, con D.P.R. n. 275/99, rappresenta lo strumento principale per affrontare tutti gli aspetti, come quello dell’integrazione degli stranieri, che richiedono la costruzione di appropriate e specifiche soluzioni.
La legge di riforma dell’ordinamento scolastico, n. 53/2003, contiene elementi idonei allo sviluppo delle potenzialità di tutti gli allievi attraverso la personalizzazione dei piani di studio per la costruzione di percorsi educativi e didattici appropriati a ciascuno studente.
Il Decreto Legislativo n. 76/2005 relativo al diritto-dovere all’istruzione e alla formazione, nel riprendere ed ampliare il concetto di obbligo formativo (art. 68 Legge 144/99), individua i destinatari in “tutti, ivi compresi i minori stranieri presenti nel territorio dello Stato” (comma 6 dell’art. 1).
Il crescente aumento del numero di alunni stranieri nelle scuole ha fatto sì che già nel C.C.N.L. Comparto Scuola del 1999 (artt. 5 e 29) venissero previste azioni atte a sostenere l’azione del personale docente impegnato a favorire l’accoglienza e l’integrazione degli alunni immigrati e/o nomadi. (CC.MM. 155 del 26.10.2001e 106 del 27.9.2002)
Il nuovo Contratto collettivo nazionale di lavoro del Comparto scuola, 2002/05 all’art. 9, “Misure incentivanti per progetti relativi alle aree a rischio, a forte processo immigratorio e contro l’emarginazione scolastica” ha collocato in un’unica previsione normativa le situazioni territoriali relative alle aree a rischio e a forte processo immigratorio, ha ricompreso in un quadro contrattuale unitario gli obiettivi di lotta all’emarginazione scolastica, ha trasferito alcune competenze dagli Uffici centrali a quelli regionali, ha prefigurato specifiche modalità di raccordo e di collaborazione tra le istituzioni scolastiche.

L’Italia sta passando dalla prima fase, nella quale la scuola si è trovata ad affrontare il fenomeno come emergenza, ad una fase di valutazione delle esperienze già realizzate e di programmazione degli interventi. E’ necessario, dunque, individuare le migliori pratiche e disseminarle nel rispetto del Piano dell’offerta formativa (POF) e dell’autonomia scolastica, d’intesa con gli Enti locali e gli altri soggetti che sul territorio interagiscono per l’integrazione.
La nostra nazione ha quindi scelto la piena integrazione di tutti nella scuola e l’educazione interculturale come suo orizzonte culturale (Circolare ministeriale del 26 luglio 1990, n. 205, La scuola dell’obbligo e gli alunni stranieri. L’educazione interculturale e art. 36 della Legge 40/98, non modificato dalla Legge 189/02)
Si sta delineando una scuola delle cittadinanze, europea nel suo orizzonte, radicata nell’identità nazionale, capace di valorizzare le tante identità locali e, nel contempo, di far dialogare la molteplicità delle culture entro una cornice di valori condivisi.
Ma cosa significa l’esperienza della migrazione per un adolescente?

Per molti ragazzi la migrazione può rappresentare un’opportunità concreta di realizzare speranze e progetti propri e dei familiari, così come il bilinguismo, l’aprirsi a realtà diverse e a scelte nuove può contenere molte potenzialità. Tuttavia non c’è dubbio che la strada da percorrere per loro sia molto più faticosa che per gli adolescenti autoctoni e comporti numerosi passaggi potenzialmente traumatici. Dati raccolti in paesi di più lunga esperienza migratoria del nostro ( in particolare in Francia) ci mettono in guardia rispetto a una maggiore esposizione di questi giovani a rischi di emarginazione e devianza, ma ci segnalano anche la possibilità di trasformare elementi di vulnerabilità, legati alla complessità del loro percorso di crescita, in fattori di arricchimento delle competenze e delle capacità creative. Per favorire un superamento positivo dei compiti evolutivi di questi ragazzi cresciuti in un contesto di migrazione (anche se vissuto indirettamente attraverso i loro genitori) è importante comprendere quali sono le principali difficoltà che si trovano ad affrontare. Esistono ovviamente difficoltà di ordine socio-economico ormai ampiamente documentate (lavori sottopagati e poco qualificati dei genitori, problemi abitativi, minori opportunità di accedere agli studi superiori, fattori di discriminazione nell’inserimento lavorativo, isolamento e razzismo sociale, ecc), ma esistono anche difficoltà di ordine psicologico e culturale connesse all’essere figli di genitori immigrati e al crescere tra appartenenze diverse. Ad esempio i processi di identificazione con le figure genitoriali, necessari alla strutturazione di sé, sono spesso ostacolati a causa della condizione di marginalità dei genitori stessi e possono condurre a identificarsi difensivamente con figure sentite come potenti anche se negative; così pure l’interiorizzazione di codici morali e culturali (che servono ad organizzazione e contenere i vissuti personali, a regolare il comportamento e a sostenere in momenti di difficoltà) possono risultare carenti a causa della impossibilita di scegliere tra modelli culturali in conflitto tra loro (quello di origine e quello attuale); spinte ad adattarsi in maniera troppo rapida ai modelli della società di accoglienza rischiano di cancellare le proprie origini e con esse il mondo e le esperienze dei genitori, o al contrario ad arroccarsi in una rivalutazione esasperata dei valori tradizionali.
I percorsi di ragazzi e ragazze straniere che si accingono a frequentare la scuola in Italia sono molto diversi tra loro;
• alcuni di loro sono nati in Italia da famiglie che vi risiedono da tempo. Essi rappresentano qualcosa di nuovo rispetto ai loro genitori e spesso si allontanano molto dai riferimenti d’origine. Per questo possono essere
considerati con ambivalenza dai propri genitori con un misto di orgoglio, ma anche di timore.
• Altri hanno vissuto una parte della loro infanzia o adolescenza altrove, dove hanno costruito una stima di sé all’interno di istituzioni e relazioni familiari note, e sono giunti in Italia in seguito al ricongiungimento familiare, pagando il prezzo di molteplici rotture affettive.
• Altri ancora sono fuggiti da paesi in guerra e portano con sé esperienze di trauma e discriminazione, vissuti di dolore e perdita; di questi alcuni sono partiti da soli, allo sbando, facili vittime di situazioni di precarietà e di vita ai margini; alcuni di questi non sono regolari e sanno di poter stare in Italia solo fino al compimento del 18°anno di età.
• Vi sono poi alunni di nazionalità italiana, adottati, che sono nati ed hanno vissuto una parte della loro vita in un altro paese o che invece appartengono a comunità rom o sinti;
• ancora vi sono coloro che vivono la migrazione indirettamente, attraverso il racconto di uno dei genitori, che entra a far parte della storia familiare ( i figli di coppie miste).

Ciò che accomuna allievi con storie così differenti è il vissuto reale o simbolico della migrazione, intesa come spostamento “profondo”, ridefinizione dei legami e delle appartenenze, della propria identità e progetto di vita.
Gli adolescenti stranieri hanno al tempo stesso bisogni uguali e specifici rispetto ai compagni di banco italiani. Essi sono alle prese con gli stessi compiti di sviluppo, ritmi di crescita, desideri e timori, ma devono affrontare anche sfide specifiche:
• apprendere la nuova lingua,
• una diversa rappresentazione del mondo, per comunicare e per studiare;
• riorientarsi rispetto allo spazio e al tempo, alle regole esplicite e implicite del nuovo ambiente, crescere tra riferimenti, aspettative e appartenenze differenti e gestirne l’ambivalenza
• investire nel futuro senza farsi bloccare dalla provvisorietà del presente
• sentirsi accolti e accettati nel gruppo dei pari
• far fronte alla categorizzazione sociale sfavorevole e agli stereotipi sul proprio gruppo.

Studi effettuati in Francia sui ragazzi migranti e di seconda generazione evidenziano come i figli di migranti costituiscano un gruppo a rischio, in modo particolare nel corso del primo anno di vita e all’inizio della scolarizzazione.
Nell’età della adolescenza, in cui avviene normalmente una revisione dei conflitti interni e il confronto con nuovi compiti di sviluppo, si verifica una recrudescenza dei problemi.
Come affermano Moro e Nathan (1995) nel periodo dell’adolescenza il ragazzo figlio di migranti deve elaborare le sue somiglianze e le sue differenze nei confronti del proprio gruppo familiare (filiazione) e del proprio gruppo culturale (affiliazione).
In un contesto di migrazione, ma ovviamente non solo, può essere difficile individuare un posto ben definito all’interno della propria famiglia. Bisogna riuscire a rappresentarsi il percorso della famiglia, fare i conti con i rischi di rottura della propria duplice appartenenza alla cultura di origine e a quella occidentale, ricostruire la propria autostima.
L’adolescente migrante cerca allora di inventare varie strategie per far fronte a questi compiti.
Anche in Italia i disagi negli ancor pochi alunni/e stranieri che frequentano le scuole superiori, ancora molti optano per l’inserimento lavorativo o per la formazione professionale, possono essere penalizzanti: deficit linguistici, comportamenti di carattere relazionale, possibili disturbi dell’identità, sono alcuni dei tratti di cui questi adolescenti possono essere portatori nella scuola secondaria.

Il protocollo di accoglienza vuole essere uno strumento che facilita il processo di inclusione e che permette, attraverso la sua realizzazione, una riflessione di tipo educativa e culturale all’interno della scuola che coinvolge gli attori che ne fanno parte: gli insegnanti, le famiglie ed i ragazzi stessi.
Il modello del protocollo di accoglienza vuole significare uno strumento che, standardizzando i processi come processi di qualità, sottolinea l’importanza delle buone prassi rispetto a procedimenti destrutturati. Necessita tempo, attenzione, dedizione e preparazione e deve essere costruito in modo partecipato.
Il pedagogista clinico si può inserire come consulente all’interno del processo di progettazione, redazione e valutazione di questo strumento poiché in grado di tenere le redini di un lavoro di rete che coinvolge figure professionali diverse, senza però dimenticare il filo conduttore di tutto che rimane l’integrazione dell’allievo immigrato.
Le competenze da mettere in gioco sono la capacità di ascolto e la capacità empatica nella gestione delle relazioni con le insegnanti in considerazione dei diversi contesti che entrano in gioco nell’integrazione di allievi stranieri a scuola con un’ottica integrata e pedagogica. Un percorso il cui fine è gestire i bisogni, le proposte, eventuali disaccordi al fine di definire un prodotto comune (il protocollo) che abbia l’obiettivo di ampliare e migliorare il POF sulla base della reale analisi dei bisogni degli allievi immigrati e delle loro famiglie.

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